Piccolo Teatro Città di Ravenna

G.A.D. Gino Caprara & Laboratorio Italiano

Georges Feydeau


Georges è figlio di Ernest-Aimè (1821-1873), anche lui autore di racconti di buon successo (pubblicò “Fanny” nel 1858, e “Souvenirs d’une cocotte” nel 1872).
Georges divenne prestissimo autore e regista di opere teatrali caratterizzate dal ritmo quasi frenetico e basate sulla "matematica" dell'effetto comico (era un severissimo metteur en scène) la cui popolarità superò infine anche quella delle opere del maestro del genere, Eugène Labiche.
Molte sue opere di vaudeville sono ancora oggi rappresentate e applaudite, in particolar modo: “A scatola chiusa”, “La palla al piede”, “Il tacchino”, “La pulce nell'orecchio”, "Dove vai tutta nuda?" e soprattutto le celeberrime “Occupati d’Amelia”, “Sarto per signora” e “L'albergo del libero scambio”, che tornano ogni anno nei cartelloni italiani ad opera di compagnie diverse. Undici delle sue vaudeville furono scritte in collaborazione con Maurice Desvallières.
Feydeau non era solo un autore, ma un teatrante al quadrato. Conosceva e "scriveva" di scene, luci e costumi trattandoli al pari di attori. Le sue scenografie (ricche di complicatissimi cambi a vista ed al buio) sono finemente studiate con porte, finestre e armadi in numero calcolato ed angolazioni millimetriche per suscitare (se utilizzate sapientemente dagli attori) effetti esilaranti.
Nel suo teatro moltissime situazioni comiche sono totalmente prive di battute: un uomo entra in scena, una donna ne esce, e scatta la risata fragorosa.
La sua abilità di regista e drammaturgo suscitò per decenni risate in ogni tipo di pubblico, tanto da mettere in secondo piano la spietata satira alla borghesia parigina che adombra ogni sua opera.
In una critica più lungimirante avrebbe potuto essere considerato fin dall'inizio un moderno Molière, ed invece per anni fu snobbato come autore "di serie B" dal gotha del teatro europeo (ad eccezione di quello francese) . Nondimeno le compagnie di teatro brillante fecero incetta di tutte le sue opere, in generale con ottimi risultati.
Solo recentemente è stato rivalutato e riletto in chiave di ironico fustigatore dell'ipocrisia borghese, anche se la messa in scena delle sue opere risente spesso dell'infinità di ruoli che Feydeau utilizza in quasi tutti i suoi lavori.
Ruoli che è difficilissimo tagliare: Feydeau era un artista (ed un teorico) del ritmo iperrealistico dell'azione, ed è noto che facesse provare i suoi attori a tempo di musica, imponendo performance vocali e fisiche notevoli, alla stregua dell'odierno Michael Frayn di "Rumori fuori scena": impossibile, dunque, concentrare tutto in poche parti.
La febbrile attività di Feydeau, la vita notturna, il gioco d'azzardo e l'amore per gli eccessi (fu uno dei protagonisti della Belle Epoque parigina tanto da avere un tavolo perennemente prenotato da "Maxim's") ebbero tuttavia gravi conseguenze per il suo equilibrio vitale: morì il 5 giugno 1921, in una clinica psichiatrica dove era stato internato per grave malattia mentale contratta in conseguenza della sifilide.
Resta la grandezza di un caposcuola, un uomo di teatro che era molto più che un semplice autore e che tuttavia viene ricordato ingiustamente solo in quella chiave, mentre la sua opera di regista andrebbe studiata in maniera analitica.
Una bizzarria, concernente il suo funerale, riguardò la volontà di Feydeau di essere sepolto con il suo telefono, in modo da poter restare in contatto con gli esseri umani anche dopo morto.
Ci ha lasciato un nutrito carnet di circa 50 opere, non tutte complete, classificabili come commedie e vaudeville.
Tra gli attori italiani che l'hanno rappresentato al meglio vanno ricordati Alberto Lionello e Franco Parenti.